“E’
impossibile non amare Ava e la sua voce piena di ironia e freschezza nel
raccontare un percorso di sofferenza e rinascita senza indugiare mai nella
retorica del dolore. Un libro che dovrebbe diventare d’obbligo nelle scuole!”. Furono
queste parole di Alessia Gazzola, stimata autrice italiana (di cui tra l’altro
sto leggendo il libro “Lena e la tempesta”, mentre sto scrivendo queste righe),
che mi convinsero ad acquistare questo romanzo a scatola chiusa. Volevo provare
sulla mia pelle quella freschezza e ironia che l’autrice italiana andava a
decantare in quello che, in quel periodo, era per me un momento oscuro e triste
della mia vita letterale che proprio in quei giorni, cercavo di riportare alla
luce, leggendo “Septimus Heap”. Così come ho scoperto che la stessa Ava,
protagonista del romanzo in questione stesse vivendo in quello che
obiettivamente parlando, era un periodo molto più buio e difficile da superare
di quello del sottoscritto e anche da nascondere, dalla cattiveria delle
persone. Perché a soli quindici anni, in seguito ad un incidente domestico che
sfociò in un incendio, portandole via entrambi i genitori e la cugina alla
quale era molto legata, Ava perse anche la sua identità, trovandosi a indossare
delle vesti inedite e scabrose sulla sua pelle in maniera indelebile. Delle
cicatrici che da quel momento in poi l’avrebbero accompagnata per tutta la vita,
ricordandole ogni qualvolta lei posasse il suo sguardo sul suo corpo martoriato
e marchiato, momenti che non ci sarebbero più stati. Dopo un anno dal tragico
evento, convinta dagli zii che rivedono in Ava una figura simile alla figlia
perduta, dai dottori che la seguono e dalle persone del gruppo di sostegno al
quale partecipa saltuariamente e svogliatamente, la ragazza tornerà sui banchi scolastici
di un nuovo istituto, con l’obiettivo di reintegrarsi o quantomeno di provare a
riprendere la sua vita dove l’aveva lasciata… per quanto questa non potrà mai
essere come quella ormai perduta. Sarà l’incontro e il confronto con Pyper, una
sua coetanea con cui instaurerà un rapporto di amicizia e solidarietà, ad
aiutarla a trovare la forza di reagire e di lottare per reinserirsi nel mondo. Come
Ava, anche Pyper è rimasta segnata da un incidente che la costringe a stare su
una sedia a rotelle, e nonostante ciò, continua ad affrontare la vita con una
certa spavalderia. Perché lei “ha sconfitto i suoi demoni e porta le sue
cicatrici come ali”. Questo quantomeno è ciò che si evince dal testo del tatuaggio
che Pyper porta sulla schiena, rappresentato da due grandi ali piumate del
colore dell’arcobaleno sulle scapole mentre la scritta esposta poco sopra,
parte dalla prima vertebra del collo fino ad arrivare ai due piccoli buchi all’altezza
del bacino. Perché racconto questo? Perché durante la lettura del libro, bazzicando
su internet in cerca d’altre informazioni come faccio sempre ogni qualvolta un’opera
o un argomento m’interessa maggiormente, ho avuto modo di scoprire che il
titolo originale dell’opera è “Scars Like Wings”, “Cicatrici come Ali”,
tradotto letteralmente in italiano. Le stesse che porta tatuate sulla schiena
Pyper e che in seguito erediterà anche Ava come segno evidente dell’evoluzione
del suo percorso di recupero della libertà andata perduta. Generalmente evito
di raccontare spoiler o elementi incisivi della trama di un libro o di un film
che vengo a trattare qui sul blog ma, in questa circostanza non potevo fare
altrimenti. Era per sottolineare ancora una volta, l’incapacità degli editori e
traduttori italiani, di adattare o dare un titolo di spessore a un’opera,
andandone a stravolgere il senso. Io sono Ava avrà sicuramente il suo impatto
superficiale ma, Cicatrici come Ali lo reputo un titolo molto più evocativo e
poetico di quello che la nostra edizione ha proposto, anche perché molto più
coerente con l’opera. E poi questo romanzo è uno dei pochi casi in cui non è
importante dove va a finire il viaggio, ma il percorso che ne segue. Posso
affermare senza avere dubbi che, una volta conclusa la lettura, abbia provato
un fortissimo dispiacere nel separarmi da Ava. E’ stato facilissimo provare
empatia per questa ragazza e per le vicende che la vedevano coinvolta, per
nulla melodrammatiche o pesanti ma solo ed esclusivamente vissute dal punto di
vista di una sedicenne che in un modo autentico, espone il dramma che la affligge
costantemente senza passare davvero per una vittima o facendo provare pena al
lettore, mostrando fra un intoppo e l’altro il suo percorso alla riconquista
della speranza. La Stewart è riuscita a creare un racconto veritiero grazie
alle testimonianze di tutte quelle persone che, come Ava e Pyper, affrontano
ogni giorno la loro nuova vita, con quella forza di volontà e di voglia di
vivere nonostante i dubbi iniziali che, per noi che stiamo fortunatamente bene,
non potremo mai capire appieno. Sono testimonianze essenziali e se da esse ne
esce un prodotto del genere, non può che essere una cosa più che positiva. Come
affermato dalla Gazzola, opere di questo stampo andrebbero fatte leggere nelle
scuole, per sensibilizzare maggiormente i ragazzi, ai quali tra l’altro l’opera
è indirizzata principalmente ma che può essere apprezzata tranquillamente anche
da un adulto. Poiché sono trattati argomenti delicati come il bullismo e l’emarginazione,
oltre che la perdita di qualcuno d’importante. Ho anche letto che l’opera è
stata paragonata a “Wonder”, altro successo editoriale e cinematografico che
trattava pressapoco un argomento simile… tuttavia, non avendo letto il libro e
visto il film, non posso pronunciarmi. Sicuramente fra i libri che ho letto
recentemente, è quello che mi sento di consigliare maggiormente.
martedì 17 novembre 2020
IO SONO AVA di ERIN STEWART
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