martedì 17 novembre 2020

IO SONO AVA di ERIN STEWART


“E’ impossibile non amare Ava e la sua voce piena di ironia e freschezza nel raccontare un percorso di sofferenza e rinascita senza indugiare mai nella retorica del dolore. Un libro che dovrebbe diventare d’obbligo nelle scuole!”. Furono queste parole di Alessia Gazzola, stimata autrice italiana (di cui tra l’altro sto leggendo il libro “Lena e la tempesta”, mentre sto scrivendo queste righe), che mi convinsero ad acquistare questo romanzo a scatola chiusa. Volevo provare sulla mia pelle quella freschezza e ironia che l’autrice italiana andava a decantare in quello che, in quel periodo, era per me un momento oscuro e triste della mia vita letterale che proprio in quei giorni, cercavo di riportare alla luce, leggendo “Septimus Heap”. Così come ho scoperto che la stessa Ava, protagonista del romanzo in questione stesse vivendo in quello che obiettivamente parlando, era un periodo molto più buio e difficile da superare di quello del sottoscritto e anche da nascondere, dalla cattiveria delle persone. Perché a soli quindici anni, in seguito ad un incidente domestico che sfociò in un incendio, portandole via entrambi i genitori e la cugina alla quale era molto legata, Ava perse anche la sua identità, trovandosi a indossare delle vesti inedite e scabrose sulla sua pelle in maniera indelebile. Delle cicatrici che da quel momento in poi l’avrebbero accompagnata per tutta la vita, ricordandole ogni qualvolta lei posasse il suo sguardo sul suo corpo martoriato e marchiato, momenti che non ci sarebbero più stati. Dopo un anno dal tragico evento, convinta dagli zii che rivedono in Ava una figura simile alla figlia perduta, dai dottori che la seguono e dalle persone del gruppo di sostegno al quale partecipa saltuariamente e svogliatamente, la ragazza tornerà sui banchi scolastici di un nuovo istituto, con l’obiettivo di reintegrarsi o quantomeno di provare a riprendere la sua vita dove l’aveva lasciata… per quanto questa non potrà mai essere come quella ormai perduta. Sarà l’incontro e il confronto con Pyper, una sua coetanea con cui instaurerà un rapporto di amicizia e solidarietà, ad aiutarla a trovare la forza di reagire e di lottare per reinserirsi nel mondo. Come Ava, anche Pyper è rimasta segnata da un incidente che la costringe a stare su una sedia a rotelle, e nonostante ciò, continua ad affrontare la vita con una certa spavalderia. Perché lei “ha sconfitto i suoi demoni e porta le sue cicatrici come ali”. Questo quantomeno è ciò che si evince dal testo del tatuaggio che Pyper porta sulla schiena, rappresentato da due grandi ali piumate del colore dell’arcobaleno sulle scapole mentre la scritta esposta poco sopra, parte dalla prima vertebra del collo fino ad arrivare ai due piccoli buchi all’altezza del bacino. Perché racconto questo? Perché durante la lettura del libro, bazzicando su internet in cerca d’altre informazioni come faccio sempre ogni qualvolta un’opera o un argomento m’interessa maggiormente, ho avuto modo di scoprire che il titolo originale dell’opera è “Scars Like Wings”, “Cicatrici come Ali”, tradotto letteralmente in italiano. Le stesse che porta tatuate sulla schiena Pyper e che in seguito erediterà anche Ava come segno evidente dell’evoluzione del suo percorso di recupero della libertà andata perduta. Generalmente evito di raccontare spoiler o elementi incisivi della trama di un libro o di un film che vengo a trattare qui sul blog ma, in questa circostanza non potevo fare altrimenti. Era per sottolineare ancora una volta, l’incapacità degli editori e traduttori italiani, di adattare o dare un titolo di spessore a un’opera, andandone a stravolgere il senso. Io sono Ava avrà sicuramente il suo impatto superficiale ma, Cicatrici come Ali lo reputo un titolo molto più evocativo e poetico di quello che la nostra edizione ha proposto, anche perché molto più coerente con l’opera. E poi questo romanzo è uno dei pochi casi in cui non è importante dove va a finire il viaggio, ma il percorso che ne segue. Posso affermare senza avere dubbi che, una volta conclusa la lettura, abbia provato un fortissimo dispiacere nel separarmi da Ava. E’ stato facilissimo provare empatia per questa ragazza e per le vicende che la vedevano coinvolta, per nulla melodrammatiche o pesanti ma solo ed esclusivamente vissute dal punto di vista di una sedicenne che in un modo autentico, espone il dramma che la affligge costantemente senza passare davvero per una vittima o facendo provare pena al lettore, mostrando fra un intoppo e l’altro il suo percorso alla riconquista della speranza. La Stewart è riuscita a creare un racconto veritiero grazie alle testimonianze di tutte quelle persone che, come Ava e Pyper, affrontano ogni giorno la loro nuova vita, con quella forza di volontà e di voglia di vivere nonostante i dubbi iniziali che, per noi che stiamo fortunatamente bene, non potremo mai capire appieno. Sono testimonianze essenziali e se da esse ne esce un prodotto del genere, non può che essere una cosa più che positiva. Come affermato dalla Gazzola, opere di questo stampo andrebbero fatte leggere nelle scuole, per sensibilizzare maggiormente i ragazzi, ai quali tra l’altro l’opera è indirizzata principalmente ma che può essere apprezzata tranquillamente anche da un adulto. Poiché sono trattati argomenti delicati come il bullismo e l’emarginazione, oltre che la perdita di qualcuno d’importante. Ho anche letto che l’opera è stata paragonata a “Wonder”, altro successo editoriale e cinematografico che trattava pressapoco un argomento simile… tuttavia, non avendo letto il libro e visto il film, non posso pronunciarmi. Sicuramente fra i libri che ho letto recentemente, è quello che mi sento di consigliare maggiormente.


giovedì 15 ottobre 2020

LE CRONACHE DEL MONDO EMERSO- LE STORIE PERDUTE di LICIA TROISI

Sono passati dieci anni da quando nell’ormai lontano ottobre 2010, cominciai la lettura delle “Cronache del Mondo Emerso” di “Licia Troisi”, sotto consiglio di un carissimo amico, finendo con l’innamorarmene. Forse ingenuamente perché col senno di poi, paragonando questa lettura a quelle che ho affrontato in seguito, fra classici del genere o produzioni più recenti scritte da persone molto più esperte, la prima opera della Troisi ne esce inevitabilmente sconfitta e con le ossa rotte. Grazie al cavolo aggiungerei. Tutto ciò era da condurre ovviamente alla poca esperienza, direi pressoché nulla, che l’autrice aveva a quei tempi. E nonostante ciò, Licia con le avventure di Nihal della valle del vento, la ragazza ultima superstite della stirpe di mezz’elfi e protagonista delle Cronache, riuscì a conquistare e a fare emozionare più di una generazione di lettori italiani in erba e non, divenendo a pieno diritto la regina del fantasy italiano, poiché fu una delle prime se non addirittura la prima a immergersi nel mercato letterale di quel genere, prima che ne divenisse una moda. Questo perché nonostante lo stile di scrittura fosse acerbo, nell’intera opera si trasudava molta passione e dedizione, voglia di raccontare, di condividere, d’immergere chiunque in un mondo tutto nuovo, con le sue stranezze e unicità, i suoi personaggi, le sue storie, la costante evasione dalla realtà. La crescita e l’evoluzione affrontando le proprie insicurezze e in un certo senso, l’esordio di Licia si potrebbe definire come il “viaggio terapeutico” di cui lei avesse bisogno. Lei stessa in più interviste non ha mai nascosto che Nihal fosse la rappresentazione esplicita di ciò che fosse ai tempi, con tutte le sue gioie, paure e insicurezze. Chiunque metta in gioco se stesso aprendosi, va sempre premiato per l’estremo coraggio di condivisione per quanto mi riguarda. Se poi lo fa creando il classico romanzo di formazione che io amo tanto beh, con me, si sfonda una porta aperta. Li ricordo con estremo piacere i giorni passati a leggere quel mattone, letteralmente parlando, durante il tragitto di andata e ritorno dal lavoro sull’autobus e in metropolitana. Un viaggio durato diversi mesi poiché mi presi i miei tempi e una volta conclusosi raggiungendone la meta, rimasi spiazzato, col nodo alla gola, solo e confuso con i miei pensieri. Mi ero così affezionato a Nihal e a tutti quei personaggi che la assistettero durante la sua crociata per salvare il Mondo Emerso dalla tirannia del Tiranno ( perdonatemi il gioco di parole ) e del suo esercito di Fammin che, una volta finita la lettura ne sentii inevitabilmente la mancanza. Ne volevo ancora! Dovevo sapere assolutamente come continuava nonostante l’opera si potesse definire più che completa. Fortunatamente quando mi avvicinai alla saga, nelle librerie era già disponibile da qualche tempo il suo seguito diretto, la trilogia delle “Guerre del Mondo Emerso” e sempre in quel periodo la “Mondadori”, casa editrice che si è sempre occupata di immettere sul mercato italiano le opere della Troisi fin dai tempi delle Cronache, pubblicò “Gli ultimi eroi” ovvero l’ultimo tassello della terza trilogia sul Mondo Emerso, le “Leggende”. “Meglio di così si muore” pensai… stoltamente. Questo perché nonostante gli evidenti miglioramenti di scrittura legati sempre di più all’esperienza accumulata, le Guerre non mi convinsero o meglio ancora, non mi conquistarono come mi sarei immaginato. Lo schema era pressappoco il medesimo di quello precedente con piccole variabili: C’era sempre una protagonista femminile con i suoi problemi seppur differenti rispetto all’eroina precedente, i personaggi comprimari la supportavano uniti tutti quanti contro una minaccia più grande, incarnata questa volta da una setta di assassini devoti al culto di una divinità maligna il cui interesse principale era ridare vita alla nemesi della saga precedente e riprendere il controllo e la distruzione del Mondo Emerso. Lo stesso Mondo Emerso seppur fosse passata una cinquantina d’anni dagli eventi del primo libro, non riportava cambiamenti essenziali e… basta, tutto qui! Non mi è rimasto particolarmente. La verità è che commisi l’errore di leggere le Guerre a ridosso delle Cronache, convinto di trovare gli stessi personaggi le cui vicende precedenti nel mio cuore, erano ancora vive e pulsanti. Ciò rese parecchio sofferta la lettura del romanzo, le cui uniche parti che secondo quelle che erano le mie esigenze all’epoca riuscirono a essere sufficientemente intriganti, riguardarono esclusivamente il reinserimento di Sennar, il mago storico compagno di Nihal, invecchiato e troppo stanco per continuare a lottare per un mondo in cui non credeva più. L’assenza della stessa Nihal contribuì a farmi detestare, ingiustamente, il romanzo perché il cambio generazionale ci stava tutto ma come dicevo, non era quello che volevo in quel momento. Affrontai l’intera lettura nelle settimane a seguire con estrema fatica e una volta concluso questo secondo viaggio nel Mondo Emerso, decisi di prendermi una pausa da quell’universo e a oggi le Leggende non le ho mai recuperate. Nel corso degli anni tuttavia mi è capitato di leggere altre opere della Troisi, come l’intera saga della “Ragazza drago”, serie per ragazzini prestatami gentilmente dallo stesso amico che mi consigliò a suo tempo le Cronache del mondo Emerso e il primo libro dei “Regni di Nashira”. Quest’ultimo acquistato alla sua uscita durante la presentazione dell’autrice alla Fnac di Milano quando ancora esisteva nel 2011, con tanto di dedica e autografo… dire che non mi piacque è davvero poco, mi fece cagare! Non a caso di quel romanzo non ricordo nulla di nulla. Ad ogni modo verranno il giorno e lo spazio giusto per parlare di questa saga, facendo i suoi seguiti parte dell’enorme pila di libri accumulati sulla mia scrivania nel corso degli anni cui devo ancora dare la giusta attenzione… forse. E fra questi libri accumulati, arriviamo finalmente a quello di cui volevo parlare in questo post, ovvero le “Cronache del Mondo emerso, le storie perdute”, comprato alla sua uscita nel 2014 e letto solo adesso, a distanza di dieci anni esatti dalle Cronache originali. Casualità. Il libro naturalmente fu frutto di un’esplicita operazione commerciale da parte dell’autrice e della Mondadori per festeggiare il decennale della saga ( questi dieci anni cominciano ad essere troppo ambigui ), nel tentativo di fare leva sulla nostalgia dei fan della saga e io da bravo coglione quale ero e quale sono tuttora, lo acquistai con la consapevolezza che questa volta avrei ritrovato la Nihal cui ero legato. Ed effettivamente è stato così, seppur con delle vesti differenti essendo in questo romanzo più matura e meno impulsiva rispetto alla trilogia originale, anche se ogni tanto la sua cocciutaggine riemerge nostalgicamente in tutti i sensi. Sarò franco, sconsiglio totalmente la lettura di questo libro non solo a chi non ha mai letto le Cronache del Mondo Emerso, ma anche le Guerre e le Leggende. Questo perché il libro si suddivide in tre atti, “canti” nello specifico essendo queste tre storie “perdute”, raccontate da un misterioso bardo in una locanda durante una serata nevosa. In realtà le prime due ai conoscitori della saga non sono propriamente una novità, essendo già state trattate nelle prime due trilogie in maniera superficiale o quantomeno abbozzate. Mentre l’ultima è inedita perché si svolge dopo le conclusioni delle vicende dell’ultima trilogia e, infatti, la maggior parte dei rimandi inizialmente non li colsi proprio perché le Leggende non le ho mai lette, spoilerandomele… maledetti bastardi! Non che me ne fregasse davvero qualcosa chiariamoci, però è il principio alla base ad essere sbagliato. Se tu mi vuoi vendere una storia dedicata alle “Cronache” come suggerisce il titolo di copertina, mi aspetto di trovare al massimo rimandi a quel romanzo e non anche agli altri! Detto ciò, il libro nell’insieme mi è piaciuto perché oltre ai riferimenti nostalgici, ai personaggi che tanto mi piacquero, primi su tutti Nihal e Sennar, il drago Oarf o le rappresentazioni giovanili e inesperte di Soana e Fen, i mentori dei due protagonisti, mi ha fatto piacere tornare in quell’universo ( seppur in piccola dose ) che una decina d’anni fa fece breccia nel mio cuoricino. Peccato solo che, l’esperimento nostalgia è mandato in vacca da un finale aperto che non ha senso di esistere in un extra bonus come questo romanzo, andando, di fatto, a finire l’epopea di Nihal, in un modo che ritengo non solo ignobile ma poco riuscito a differenza di quello che era il finale originale, molto più coerente seppur mega buonista. Peccato perché fino a poco prima delle ultime cinque pagine seppur con i suoi momenti altalenanti… ci stavo credendo, illudendomi di essere tornato indietro di dieci anni.


venerdì 25 settembre 2020

SEPTIMUS HEAP Volume 1 MAGYA di ANGIE SAGE

L'autunno fra le quattro stagioni è sempre stato la mia preferita in assoluto. Sarà perché sono nato in questo periodo dell'anno ormai trent'anni fa, sentendola più che affine a quelle che sono le mie "corde" personali. L'atmosfera stessa che si viene a creare, in netto contrasto con quella solare e calda estiva, in favore di una più spenta e tiepida. L'odore dell'erba bagnata accompagnata dalle foglie gialle e secche cadenti al parco col suono del vento malinconico a farne da tema, è una linfa vitale di peso per il mio estro creativo. Nel mio immaginario l'autunno è sempre stato associabile alla lettura in ogni sua forma. Quasi sicuramente perché la prima volta che presi in mano un libro con l'intenzione di leggerlo seriamente, fu un ottobre di più di venti anni fa. E nella fattispecie si trattava di un libro fantasy. Un genere letterario che col passare degli anni, continuo a ritenere essere quello che maggiormente preferisco in assoluto, insieme a questo periodo dell'anno. Forse perché mi permette di visitare ogni volta con l'immaginazione, mondi sempre più lontani da quello reale in cui viviamo, molto più drastico e irrecuperabile a dispetto di quelli che sono gli scenari inventati di sana pianta, in alcuni casi catastrofici e più sofferti di quello vero, ma mai invariabili. Anche l'elemento più piccolo può fare la differenza, cosa che qui nella realtà raggiunge connotazioni utopistiche. E la via di fuga a volte è necessaria, staccare la spina, possibilmente con una buona tazza di tisana calda, la fioca luce di una lampadina ad energia a costo zero e perché no, anche la comodità di un enorme cuscino su cui appoggiare la testa, per rendere più confortevole ed intima la lettura. Ed è con queste premesse che mi sono approcciato alla lettura di questo romanzo, mentre dalla finestra la prima pioggia autunnale scendeva lentamente, aiutandomi ad immergermi fin dal principio nel clima malinconico di un racconto che si apre nel modo più triste possibile. Ovvero con la morte prematura dell'ultimo figlio appena nato dei coniugi Sylas e Sarah Heap, maghi appartenenti all'ultima categoria di una società. Una società dove la magia è denominata nel mondo in cui vivono come "Magya", ( da qui il sottotitolo del primo libro ) un elemento ereditario appartenente a poche famiglie di cui l'esponente più dotato, se sotto la guida di un maestro col rango più alto di Magya denominato mago StraOrdinario, può assumerne l'eredità portando avanti la tradizione ciclicamente. E secondo una vecchia leggenda, il settimo figlio di un settimo figlio dotato di Magya, sarebbe in possesso del potere magyco più alto di sempre e dal destino incredibile. Tuttavia in questa storia il destino risulta essere beffardo poiché questa presunta figura è incarnata proprio dall'ultimo figlio degli Heap, Septimus, che con la sua morte prematura lascerà il vuoto all'interno della famiglia. Un vuoto che casualmente verrà colmato in parte lo stesso giorno con lo stranissimo ritrovamento nel bosco ad opera di Sylas, di una bambina ancora in fasce. Passeranno dieci anni da quell'avvenimento e il giorno del decimo compleanno della piccola Jenna, diventata a tutti gli effetti un membro della numerosa famiglia degli Heap, busserà prepotentemente alla porta il destino, dando così inizio ad una serie di eventi che andranno inevitabilmente ad intrecciare le vicende di più personaggi, compresi quelli più inaspettati. Sarò sincero, il libro non mi è piaciuto particolarmente. Non è brutto sia chiaro, è scorrevole, leggero, simpatico in alcuni frangenti, ispirato e narrato molto bene nonostante la storia di base non sia originalissima e riconducibile ad altre opere molto più conosciute, prima su tutte quella di Harry Potter, a cui questo libro porta diversi rimandi, come quello del bambino predestinato nonostante le premesse, il contesto e le condizioni siano differenti. Ma non per questo è privo di una sua identità. Solo che per quelli che sono i miei gusti strettamente personali, la lettura mi è risultata essere altalenante. Inizialmente ti coinvolge immergendoti in quelle che sono le sue atmosfere spiegandoti brevemente e in modo efficace quelle che sono le basi di quel mondo. Poi dopo una manciata di capitoli la storia scopre subito le sue carte decollando, come se fosse una fuoristrada e tu uno dei suoi passeggeri, senza darti però il modo d'indossare la cintura di sicurezza. Raggiungi a questo ritmo quasi duecento pagine di lettura in fretta e furia, come se stessi scappando da qualcosa o qualcuno. Tra l'altro è un curioso parallelismo con quello che succede in tutta quella prima parte, dove alcuni dei personaggi principali saranno costretti dagli eventi ad una fuga rocambolesca, raccontata minuziosamente in ogni dettaglio, anche quello più inutile. Non nascondo che mi sia piaciuta tantissima come cosa, mi ha fatto sentire coinvolto in modo più diretto. Poi però l'autrice, che in questo caso assume chiaramente il ruolo della persona alla guida del veicolo, decide di punto in bianco di rallentare la corsa premendo il freno a mano a tradimento e tu che sei sprovvisto della cintura di sicurezza, subisci il colpo sbalzando fuori dal veicolo. La botta è stata così forte che, se non sei abituato a simili sbalzi, difficilmente riesci a goderti il resto del viaggio con la nausea e il dolore in corso. E forse l'autrice stessa ne è consapevole, tanto è vero che tutta la parte centrale del romanzo è una lunghissima sosta, necessaria ai fini della storia per progredire ed evolversi ulteriormente. Ma tu continui a leggere con sofferenza perché ormai un certo pregiudizio si è instillato dentro di te impedendoti di goderti il resto della lettura/viaggio come dovrebbe essere, e non c'è nulla di più sbagliato di questo pensiero. Magari arrivi a destinazione e capisci di avere giudicato tutto male e di essere stato un cretino solo ad averlo pensato prima della sua conclusione... purtroppo non è stato il mio caso. Non mi è piaciuto affatto anche il trattamento "frettoloso" che ha riservato a parecchie delle sottotrame che nel corso della storia l'autrice è andata a scoprire, richiudendole alla fine superficialmente dopo che ad alcune di esse è andata addirittura a dedicare interi capitoli. Mi ha infastidito come cosa, perché dargli tutta questa importanza allora? Poi come se non bastasse quello che doveva essere il più grande colpo di scena dell'intera storia, si è rivelato essere "il segreto di Pulcinella". Gli elementi per capirlo l'autrice li aveva già messi sotto il naso del lettore nel corso della storia e in tempi poco sospetti, li rimarcava. Se leggi con attenzione è impossibile non arrivarci subito. Non dico di averlo capito fin dal principio però prima ancora di arrivare alla parte centrale del romanzo, sapevo già dove andasse a parare la cosa. In definitiva non credo che continuerò la lettura di questa saga. Dei sette volumi di cui è composta, solo quattro sono stati tradotti nel nostro paese dalla "Salani Editore", prima che la casa editrice decidesse d'interromperla definitivamente lasciandola incompleta. Suppongo sia successo per le scarse vendite ed interesse da parte dei lettori italiani, perché bazzicando qua e la su internet, oltre a non avere trovato molte informazioni in italiano sulla saga, ho scoperto che il quarto volume venne pubblicato nell'ormai lontano 2011, nove anni fa. Troppi per riprendere un franchise da dove è stato interrotto. Mentre per quanto riguarda i quattro già pubblicati, sono fuori catalogo ormai e reperibili solo usati su internet tramite qualche inserzione "Ebay" o su siti come quello del "Libraccio". La copia che possiedo è il fondo di magazzino che mi è stato regalato da un amico qualche tempo fa, se non fosse stato per lui difficilmente ne sarei entrato in possesso venendone a conoscenza. E comunque nonostante tutto, non posso fare a meno di ringraziare "Angie Sage". Perché nonostante non mi sia piaciuto particolarmente questo libro e mi abbia fatto, passatemi il termine, cagare, mi ha liberato da quel blocco che da tre/quattro anni a questa parte continuava ad attanagliarmi. Ovvero l'impossibilità di concludere una lettura e di riimmergermi dentro di essa con l'atmosfera autunnale che amo tanto, a farne da cornice.